Dott.ssa Fabiana Traversi
Casa Editrice Pagine – Redazione
http://autori.poetipoesia.com/marco-giorgetti
Sommario
Mi ricordo,
era stato anche l’anno della molta neve
era il mese di maggio quasi giugno
l’aria profumata di primavera non ancora estate era dolce,
noi ci spassavamo a rubare dagli alberi le ciliegie che erano d’un rosso …
e poi ci rincoravamo e ci sputacchiavamo i noccioli.
La campagna soleggiata era una tavolozza di colori
da offrire felice nella sua arte qualunque pittore,
il cielo lindo dalle nuvole della notte prima era zeppo di rondini
ritornate ai tetti dell’altro anno,
noi distesi su i né caldi né freddi coppi del granaio
incantati volgevamo lo sguardo di innamorati al tramonto.
La ruota appisolata del mulino nella frescura del ruscello
d’ogni tanto si destava e come in una nenia bisbigliava il suo cigolio,
nel canneto appena scosso dagli ultimi sospiri del giorno
le rane in un coro orchestrato da chissà chi provavano il notturno.
Il grano nei campi fatti era ormai color d’oro.
Complici noi nel gioco della trasgressione, imprigionati nella tentazione,
nascosti dietro un covone stretti nella passione,
con il fieno tra i capelli e dappertutto, con il batticuore della prima volta,
facemmo l’amore.
E le orme svaniscono
che ad ogni passo
le onde cancellano,
ferite che si rimarginano
molto può la mente
che più non dolorano.
Percorso non segnato
cammino senza passato,
il passato è nei ricordi
del cammino percorso.
Osservo il mare, ascolto il mio blues
e percorro il mio cammino
verso ovest.
Il dolore è morto
se ne è andato come il vento
scomparso con il tempo;
Non ne sono certo l’animo è in tormento
non soffrire è non amare.
Poco importa della poesia
la vita ha cambiato anche il suono della parola “amore”.
nell’ autunno di novembre
a Santarcangelo
piadina e sangiovese
e cagnina e castagna
è S. Martino festa di Romagna
di contadini e bestiame e cantastorie
la fiera dei “becchi” si tramanda
grandi corna ondeggiano per mistero
al passaggio del tradito
dall’ arco della piazza
tutti per gioco arrischiano lì sotto
in una “folata” di vento
per il vero si spera
che la verità di cornuto
nessuno vuole che si sappia.
bassa marea
onde lunghe lento arretrare
è invito ad entrare
in un lieve tepore pomeridiano
passi senza tempo
a camminare
sul banco di sabbia emerso
sbuffi di vongole rintanarsi
pozze solitarie i bambini a divertirsi
bastoni tra i denti i cani a scodinzolare
mani inguantate gli amanti carezzare
cielo di tramonto, l’aria si fa pungente
è ora di andare
il mare ad ogni stagione
dona una grande emozione.
E le orme svaniscono
che ad ogni passo
le onde cancellano,
ferite che si rimarginano
molto può la mente
che più non dolorano.
Percorso non segnato
cammino senza passato,
il passato è nei ricordi
del cammino percorso.
Osservo il mare, ascolto il mio blues
e percorro il mio cammino
verso ovest.
I finestrini aperti, il tettuccio pure.
Esce lentamente l’alito fresco Brooklyn, ma non il caldo
entra con prepotenza il casino della notte più lunga dell’estate e, ci si ritrova a farne parte.
Si procede piano , a singhiozzo, sul mitico lungomare,
prima, folle … prima, folle … prima, cazzo la seconda!
Fuori, gli occhi crepati catturano immagini da scene di una realtà suburbana click, come fotografie.
Click, angoli semibui della spiaggia illuminata ormai a giorno
sono le alcove delle poco avvenenti “signorine” africane.
Click, alcuni reduci da una serata sotto il segno dell’alcol
camminano come zombie segnando il loro passaggio
con generose pisciate e sofferte chiazze di vomito.
Click, desperados delle ferie alloggiano con i loro zaini
sopra e sotto le panchine ad immagine della promessa innovativa politica turistica.
Click, dispensatrici/ori di pseudo piacere di tutti i colori , di tutte le età, di tutte le misure, mercanteggiano le loro attitudini, le loro disponibilità.
Click, peones brianzoli si lamentano sulle note di una chitarra malsuonata.
Click, discotecari estasiati posseduti da anomala euforia
si dimenano sui sedili della Jeep scoperta al sound pompato Cocoricò.
Click, pelle su pelle, culetti fintamente coperti si strusciano sulle cromature luccicanti delle Harley davanti ai pub sbronzi.
Click, ultras dell’asocialità cercano la rissa in ogni dove,
ad ogni costo; La benemerita autoritaria, con i suoi occhi blu
vede, inchioda, interroga e perquisisce.
Click, l’esuberante femminilità esasperata dei trans per un attimo, dimentica del particolare di mascolinità repressa.
Click, il Grand hotel della Gradisca di Felliniana celluloide
In una Amarcord di una Rimini da Vitelloni, dietro le alte siepi
Estende con nostalgia i suoi bagliori al cielo.
Click, la luna sta a guardare.
Click, nessuna guarda più la luna.
sono belle le nuvole
ancora di più quando c é il sole
magari dopo la pioggia
quelle in ritardo che sono rimaste indietro
quelle in alto in alto spinte via
e consumate dal vento
che verso sera rosse forse di timidezza
in silenzio aspettano di farsi baciare
dal tramonto
e se le guardi per un po’
ti viene il sorriso dentro.
è l’urlo dell’alba
e tacciono le voci
si quietano i pensieri
fermo in un attimo è il tempo
ed è il silenzio
un raggio di sole ti penetra dentro
e ti infiamma il cuore
abbraccia poi tutte le cose
ed è vita tutt’intorno
è un nuovo giorno
infranto si
è il sogno
non per questo non dobbiamo
non andare avanti nel mondo.
ciondolare nell’afa della sera
per le strade umide del paese
respirare l’odore greve del passato
ancora presente con imponenza
tra la foschia che aleggia sul fossato
dall’arena ombre e voci in evanescenza
riflettono come fantasmi sul caseggiato
nella tenue luce dei lampioni zigzagando
pipistrelli ostentano il loro volo acrobatico
gli occhi a scrutarli preoccupato
le mani a tener ben saldo lo zucchero filato
mentre un ciottolo si fa rincorrere e calciare sul selciato
dagli usci spalancati
salutato da folti baffi ingialliti
e da seni prosperosi sotto scialli ricamati
avviato verso casa
dal pozzo nel centro del loggiato
la buonanotte dalle chimere
al ricordo di quelle sere passate
mi ritrovo incantato con piacere
portavo i pantaloni corti e non solo perché era estate.
il sapore della mia terra
era quello salato del mare che lambiva le dune della spiaggia
e delle tamerici ingobbite dal furiano nelle mareggiate
l’odore del mare
era quello delle battane ormeggiate a riva
con le mosche a ronzarci sopra e tutt’intorno
e dei cugulli e delle reti e dell’ago e filo e dei marinai sempre scalzi
l’odore dei marinai era quello del sudore che emanava odore di ferro
duro e tenace come loro
e del pesce urlato e venduto dalle pescivendole in bicicletta
l’odore del pesce
era quello della saraghina arrostita sulla graticola
che si sentiva nell’aria quando si faceva sera
l’odore dell’aria
era quello dell’erba e dei fiori di umidi di rugiada
ai bordi delle strade misere di automobili
e del bucato di sapone steso al sole ad asciugare
l’odore del sole
era quello degli oli abbronzanti e del tabacco da pipa
dei primi turisti tedeschi d’estate
l’odore dell’estate
era quello dei sorrisi e delle amicizie ritrovate
e dell’ospitalità e della disponibilità
l’odore della disponibilità
era quello divenuto poi sinonimo di guadagno
per la casa più grande per la macchina nuova
per il benessere economico dopo tanta povertà
l’odore della povertà
era quello di una grande ricchezza
la nostra cultura di cui eravamo orgogliosi
cose semplici piccoli gesti
ma tanta umanità tipica della nostra gente
il sapore della mia gente
devo cercarlo nei ricordi persi ormai nel tempo
e coperti dai mattoni belli
che sono arrivati ormai alle scogliere.
la mia mamma dice
che rassomiglio al nonno
perché porto gli occhiali scuri e il corpetto
il mio babbo dice
che rassomiglio al nonno
perché porto i baffi alla Mazzini e fumo il Toscano
io dico
che “sono” me
e che mi rammarico poiché dei nonni
non ho ricordo.
fotografie
che si ingialliscono
che con il tempo
si sfocano
immagini
che si perdono
in cantine e soffitte polverose
memoria
che cosa bella è
di nitidezza indelebile
nel vissuto
in ognuno di noi sono
le emozioni.
il richiamo nella notte
fitta di nebbia
il mare immerso
reclamarmi non si vedeva
io fermo
dalla riva si diradava
e montagne e colline
sotto un cielo sereno
e sulla costa un paese
si rappresentava
attraverso un ponte di fantasia
e strette vie e piazza gioiosa
struscio di genti sorridenti
da piccino sogno frequente
e ora uomo bambino dentro
al mio mare io vengo
tutti i giorni
a cercare questo sogno.
chissà cosa c’è
dopo il mio orizzonte?
…
l’orizzonte di qualcun altro!
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse interrogarmi.
Mi era impossibile sostenere quello sguardo. Lo sentivo su di me.
Lo sentivo spingersi fino in fondo l’anima. Gli occhi vitrei senza un battere di ciglia,
un’ombra di rimprovero forse di accusa a cercare i miei, a cercare ancora una volta una risposta. Perché? Lo sentivo quello sguardo, un crampo nello stomaco che attanaglia le viscere, lo sentivo quel rimprovero, un tuono fragoroso dopo il lampo in un temporale estivo. Ebbi un fremito nel nostro silenzio, quando s’insinuò tra le mie gambe, a cercare quell’affetto di cui si ha bisogno in quei momenti. Lo vidi scodinzolare, lo accarezzai, mi sentii un po’ meno solo. Il fiato, mi mancava il fiato, la folla tutt’intorno mi respirava l’aria, urlare scappare svegliarsi si forse era un incubo le sirene l’ambulanza la folla. Mi sentii sprofondare nelle viscere della terra mentre gli occhi degli spiriti della notte s’illuminavano e i demoni tendevano le membra ossute. Fu Bono a destarmi, portandomi tra i denti il mio basco caduto nel vialetto e calpestato. Quel basco a cui tenevamo tanto. Quel basco che ci fece incontrare qualche mese prima, proprio lì, vicino a quella panchina.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse giocare.
Quel cucciolo saltellava avanti e indietro scodinzolando freneticamente con il mio basco tra i denti. Indossavo una divisa e, accidenti un po’ di rispetto no? Ma come resistere a quel musetto simpatico un po’ da canaglia e a quegli occhi furbini. -” Bono qui!” – Udii quella voce. Quella voce che entrò in un attimo a fare parte della mia vita per non uscirne mai più. Bono, che strano nome per un cane, pensai, e un pastore tedesco poi! Seguii la voce. Mi portò dietro la siepe, accanto ad una panchina, dentro un auricolare. Riconobbi “with or without you”, gli U2, Bono, che coincidenza ! Cercai il volto di quella voce. Fu lei a trovarmi per prima.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse sfottermi.
Di tutti gli sguardi che mi era mai capitato d’incontrare, quello era, sicuramente decisamente, arrogante. Lo sostenni nonostante temessi di aver assunto un’espressione ebete. Non particolarmente bella, sicuramente interessante. Lei mi osservava con i suoi occhi schietti dietro gli occhiali abbassati sul naso. Notai alcune lentiggini, le conferivano un’aria simpatica nonostante l’atteggiamento provocatorio assunto nei miei confronti. La guardai diritto negli occhi, quelli di un cucciolo, quelli di Bono.
Le punzecchiava le labbra, una ciocca ribelle e dispettosa, sfilatasi da una treccia molto ben fatta, che scendeva sulle spalle coperte da uno scialle troppo classico per essere il suo. Eccentrico, stravagante, insolito o forse accuratamente anticonformista il suo aspetto.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse conoscermi.
Gli approcci con le ragazze non mi erano mai stati facili, con lei mi sembrava più difficile del solito. Uscii dal vialetto tra le biciclette dei bambini e i bastoni dei vecchi.
C’era più gente del solito, invitata dal cielo terso e la temperatura mite
Io che ero alla ricerca di solitudine e tranquillità ebbi nostalgia del mio mare. Sfiorai un bacio d’innamorati sul prato. Il cuore mi assillava la gola, arida come un deserto, la confusione nella mente alla ricerca delle parole giuste. La solita battuta sul tempo. Fu Bono a togliermi d’impaccio portandole il mio basco. Lei me lo restituì con le scuse negli occhi sinceri. Fu facile presentarsi, Bono, io e Lei. Le tesi la mano esibendo il migliore sorriso del mio repertorio; La vidi arrossire, ne fui conquistato.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse sfogarsi.
“Siedi! ” Più che un invito, un ordine direi.
Cercai di prendere fiato, l’aria era carica di aromi di piante in fiore, inspirai fino a riempire i polmoni. Ascoltavo ogni sua parola, meditavo su ogni sua frase, espressioni troppo colte e argomenti troppo impegnativi per la ragazza dall’aria sbarazzina che vedevo. Ebbi l’impressione della solita contestatrice. Le istituzioni, la corruzione, l’autorità, l’oppressione, le guerre. Mi sforzai di comprendere il suo atteggiamento nei miei confronti. Mi parlò di delusioni, d’ipocrisia, di crisi di valori, notai nelle voce un tono ironico e sarcastico, mi sembrò di leggere negli occhi velati un’esistenza vissuta in un’angosciante solitudine. Ascoltai e cercai di capire. Si accesero i lampioni sul vialetto ormai solo, vicino a noi, e ci rendemmo conto del tempo trascorso, Avevamo parlato per tutto il giorno, e riso così tanto quanto a mia memoria non mi era mai capitato. Anche le nostre discordanze finivano in un’ironica e sonora risata. Bono, da gran permaloso, sentendosi trascurato cercava il gioco con la palla dei bambini, suscitando una certa ira e un po’ di preoccupazione da parte dei genitori, e dei ciclisti, e dei podisti della domenica. Per farmi perdonare, e ricondurlo a noi gli lanciavo il basco, che addentato al volo, immancabilmente portava a Lei. Finiva così in una lotta impari in cui avevano sempre la meglio i morsi e la perseveranza di Bono. Ci salutammo. Non fu un addio, ma neppure un arrivederci. Bono, scodinzolando mi salutò. Trascorsi notti insonni. Tornai al parco ogni fine settimana, rinunciai a permessi e licenze, percorsi i vialetti cercando ad ogni panchina fino a conoscerne ogni particolare. Non ci fu più occasione di rivederla. Mi persi d’animo e persi ogni speranza.
L’afa si faceva sempre più opprimente, Milano d’estate è un forno. Ottenuta una licenza per qualche giorno, decisi di andare a casa, forse l’aria del mio mare e della Rimini by night mi avrebbero distolto definitivamente dal pensiero di Lei. “With or without you” con o senza di te. E’ così no?
Trascorsero mesi senza che nulla del caso accadesse.
Le foglie morte scricchiolavano sotto i miei passi. La città stava acquisendo una tonalità grigiastra. L’aria fresca ma gradevole trasportava gli odori dell’autunno. Ero lì per leggere e lessi. L’abbaiare di un cane mi fece sussultare. Pensavo ancora a quell’incontro, a lei , e a Bono.
Non riuscii a concentrarmi sulla lettura, raccolsi i miei pensieri, entrai nel vialetto e m’incamminai verso l’uscita con l’ultima luce del giorno. Davanti a me alcuni cani si rincorrevano e si annusavano e si rincorrevano ancora. Tra gli abbaiare anonimi mi parve di riconoscerlo, no, tra loro non c’era. Lo sentii guaire dietro di me, mi saltò addosso scodinzolando. Bono! Cercai Lei. Una figura di donna mi veniva incontro. Una pelliccia. No, non poteva essere lei. Eppure lo sguardo era il suo. L’ebbi di fronte.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse interrogarmi.
Irresistibilmente affascinante. Il viso, L’armonia delle proporzioni. Le gambe velate magistralmente tornite. Una venere. Ero come ipnotizzato dal suo sguardo, Lo sentivo su di me. Lo sentivo dentro di me. Gli occhi scuri fissi, senza un battere di ciglia a scrutarmi. Un’ombra di rimprovero forse di accusa a cercare nei miei, a cercare delle risposte. Mi conosceva?! Bono tentava di addentare il basco che tenevo in mano. Già, Bono, ma Lei? Lei le aveva raccontato del nostro incontro al parco, di come una intera giornata trascorsa in un confronto-scontro di ideologie si ridusse a un attimo. Ebbi la certezza di rivederla. Le espressi il mio desiderio , cercai di farle capire, quanto per me era stato importante, quel seppure breve incontro. ” Importante?! ” Fui schernito da un sorriso insolente e da poco velata ironia. ” Sciocchezze! ” Sciocchezze? Cosa ne sapeva quella venere frigida di quanto, come o perché, mi importava di Lei. Cosa ne sapeva dell’amore, sicuramente non aveva neanche un uomo da amare. Ero talmente deluso, incazzato che quella dea mi parve tutto ad un tratto una androide, o meglio una stronza. Ci salutammo. Fu un addio. Non vidi neppure Bono andare Via. Le notti insonni si ripresentarono.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse conquistarmi.
“Ciao! Leggi sul serio o lo fai per darti un tono?! ”
Lei.
Il tempo si fermò. Sentii il vuoto dentro di me tanta era l’emozione.
Quante volte avevo pensato a quell’incontro e quanto l’avevo desiderato. Quante cose avevo pensato di dirle, e ora, il vuoto. Fui sopraffatto di baci. Un calore umido mi alitava le guance. Mi trovai di fronte due occhi pieni di gioia. Bono , in piedi sulle zampe posteriori, mi stava addosso, guaiva e scodinzolava freneticamente. Mi commossi, abbracciandolo cademmo tutti e due in terra. Tornai con lo sguardo incredulo a Lei.
Mi prese per mano. Entrammo nel vialetto di cui conoscevo a memoria ormai tutti i ciottoli, tutte le panchine. Le spiegai il perché. Quanto l’avevo cercata in ogni angolo di quel parco. Mi sorrise, sentii una stretta al cuore. Assorbivo ogni sua parola, ogni sua frase. Mi piaceva ascoltarla. Mi piaceva la sua voce. Mi parlò di verità, di amore, di speranza. Notai un tono ottimista nella voce, lessi negli occhi scintillanti la gioia di essere. Sentii le sue labbra posarsi sulle mie e chiedermi amore. Quella ragazza ancora bambina sotto la cui pelle si stava modellando il corpo di una donna.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse delle risposte.
Gli eventi della vita per me, sono sempre stati un enigma. Allora più che mai. La metropoli lombarda mi proponeva, mi imponeva, situazioni sconosciute che dovetti ben presto imparare ad affrontare. Non sempre ne fui all’altezza. Non conoscevo ancora gli aspetti più crudi della vita. Alla fine del viale sentii la sua mano prendere la mia, il suo corpo sfiorare il mio e, darmi amore. L’aria gelida era carica di aroma di caldarroste, inspirai fino a riempirne i polmoni. Ogni suo sguardo era carico di sensualità, ogni movimento passione, ogni parola voglia di lei.
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse invocare perdono.
Sentii la sua anima chiedere aiuto. I suoi occhi si inumidirono di terrore, sul volto si delineò un’angosciante paura. Vidi i sorrisi tramutarsi in spasimi di dolore. Le labbra muoversi senza capire cosa mi stavano dicendo. La vidi, con tutte le forze aggrapparsi alla vita, opporsi alla fine. Il suo respiro su di me, un’ombra sul suo volto, il crollo dentro di me. Sul suo corpo l’allucinante verità. Il volo libero di un gabbiano sui flutti dell’oceano, la corsa sfrenata di un puledro nella prateria, Lanciarsi all’impazzata su una lingua d’asfalto che, sembra non possa finire mai. Infilarsi incoscienti, in una notte avventuriera, nelle tenebre del tunnel Provare un senso di potere in ogni attimo. Momenti fuori dal tempo, In cui la mente scivola fuori dai confini della ragione. Il diavolo dentro, alla ricerca di quell’attimo fuggente. Prigioniero di giochi pericolosi. Rendere tutto più eccitante. Sogni nati già vecchi, dispersi dal vento. Vento di verità. La verità bluastra degli ematomi. La verità omicida in… un ago. Il sangue raggelato, un vortice di immagini nella mente. Polvere negli occhi che acceca, frammenti di vita sparsi nella folle corsa. Fiori tutt’intorno. Lacrime da piangere. Dolore urlato. Un abbraccio di disperazione. Sentii sirene e vidi camici bianchi portarla via. La folla sdegnata. Sentii la solitudine e un profondo senso di vuoto impadronirsi di me. Perché? Perché non compresi ciò che stava accadendo? Non capii, allora non fui in grado di capire. La vita crea solo un attimo d’illusione per tutti noi. Bono, teneva tra i denti il mio basco caduto nel vialetto e calpestato. Quel basco a cui tenevamo tanto. E mi osservava.
http://autori.poetipoesia.com/marco-giorgetti
Nato a Rimini, residente a Bellaria – Igea Marina da sempre.
Errabondo nel suo mare naufrago di se stesso nel viaggio nell’io interiore in balìa di onde di verità e venti di illusioni, fosco nel fumare del suo ”stortignaccolo” pensa nel suo dialetto dei marinai poi trascrive.